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L’improvvisazione, parte integrante del jazz ma presente in molti altri generi musicali, viene spesso definita come una composizione istantanea, con la differenza che il compositore ha la facoltà e il tempo di selezionare le idee, mentre l’improvvisatore deve in qualche modo accettarle, e costruirsi nel tempo  la tecnica necessaria per poter tradurre in tempo reale  le idee in suoni.
   In genere non si  va oltre questa definizione, ma la chiave del successo sta proprio nella parola accettare. In una vera improvvisazione noi non sappiamo esattamente ciò che andremo a suonare, ma possiamo avere la certezza che qualcosa sicuramente succederà: faremo delle note occasionali o, se preferite, degli errori, soprattutto se si ha poca esperienza  è inevitabile, e dalla nostra reazione a questo evento dipenderà l’esito della nostra improvvisazione.
   Anni fa, durante una lezione, il grande maestro  Joe Diorio pronunciò una frase per me illuminante:  ” You can’t  rehearse  life “.  Era la risposta alla domanda di uno studente che chiedeva quali scale utilizzare in un passaggio armonico molto complicato, e si riferiva all’impossibilità di prevedere in quale contesto melodico ci saremmo trovati all’arrivo di quegli accordi, in modo da legare le frasi con le precedenti.
          La vita ci riserva continuamente delle sorprese,  belle o brutte, ma in realtà è solo la nostra reazione         all’evento a farcele apparire come tali, così, in una  improvvisazione, non dovete temere le note occasionali, con l’esperienza imparerete ad accettarle e  capirete come comportarvi,  svilupperete un vostro sistema, l’importante è che la costruzione della frase non si interrompa.
   Un esempio perfetto di questo concetto si trova nel brano Lonely Star  inciso da Chet Baker nel 1965. Dopo il solo di George Coleman al sax tenore, entra la tromba per il bridge. Alla quinta battuta Chet suona un A naturale che nulla ha a che vedere con l’armonia composta da Ebm7 e Dbm7: nessuna teoria musicale potrebbe giustificare quella nota, ed in effetti provoca una forte dissonanza anche perchè viene tenuta per un quarto a tempo lento. Ora, il musicista voleva proprio suonare quella nota o dobbiamo considerarla come occasionale? Non lo sapremo mai con certezza, ma io propendo per la seconda ipotesi: una nota non prevista che il grande trombettista riesce, con  nonchalance, a trasformare in un momento di assoluta poesia, impedendo  all’evento di bloccare la costruzione della frase, merito anche di un ottimo accompagnamento di piano che, dopo un attimo di silenzio,  riesce a trovare i voicing più adatti al contesto. Grande Arte.