Con Filippo Daccò ci s’incontrava a casa mia o a casa sua per suonare insieme.  A turno ci si accompagnava o s’improvvisava. Avevamo una grande stima l’uno per l’altro: lui ammirava la mia istintiva musicalità, la naturale facilità sulla chitarra ed io la sua padronanza dello strumento, la profondità e la raffinatezza nel fraseggio.

Di fronte alla sua enorme conoscenza della musica, io che ero totalmente autodidatta mi sentivo piccolo piccolo.
Il Jazz l’ho imparato dai dischi che arrivavano da oltreoceano, ascoltando quello che l’America suggeriva da lontano. Tuttora, sento un debito di riconoscenza verso questo paese così generoso musicalmente.
Poi, io e Filippo Daccò, ci siamo un po’ persi di vista.
Lui era molto richiesto come chitarrista e negli anni divenne un insegnante straordinario, un punto di riferimento per tantissimi musicisti che oggi sono apprezzati in Italia e all’estero.
Era un maestro generoso, di quelli che non hanno segreti. Sapeva, infatti, che l’apprendimento è l’incontro tra la conoscenza e la sensibilità individuale e produce sempre un risultato originale.
Io, intanto, sempre accompagnato dalla mia timidezza, ho avuto modo di suonare con i più grandi musicisti. Ricordo nottate intere a suonare con Jim Hall e George Benson; ricordo i concerti con Barney Kessel…
Ma nella musica ho sempre cercato l’uomo e se l’uomo non mi piaceva cambiavo idea anche sulla sua musica.
Su Filippo Daccò non ho mai cambiato idea: dietro alla sua apparente durezza era un uomo estremamente sensibile . E’ stato un grande musicista ma anche un amico e un “vero signore”.
Franco Cerri