Se si vuole dare un nome e un cognome al primo chitarrista jazz moderno, questo è Charlie Christian (d’accordo c’è anche Django Reinhard, ma questa è un’altra storia, da raccontare senza pick up e amplificatore). Charlie è l’uomo che ha regalato alla chitarra elettrica il centro della scena, non solo più strumento ritmico di accompagnamento, ma voce solista: quindi anche tutti i chitarristi R&B e rock dovrebbero chiamarlo “papà”.

Nato il 29 luglio 1916, a Bonham (Texas), in una famiglia di musicisti (papà Clarence James e mamma Willie Mae suonavano rispettivamente tromba e piano) ha mostrato subito molto più interesse per la musica che per lo studio. A scuola andava poco, e quando era presente, raccontano, suonava l’ukulele durante le lezioni. Nel 1926, il padre muore per una malattia, e Charlie eredita le sue due chitarre.

Con un microfono tra le ginocchia

Il blues è ovunque negli Stati del sud, unico conforto per la popolazione di colore segregata. Charlie assorbe musica e inizia a suonare in ogni contesto gli capiti. Seduto su una sedia, con un microfono stretto tra le ginocchia, fa sentire la voce del suo strumento acustico, probabilmente già allora insofferente per i limiti dovuti alla mancanza di volume.

Due incontri cambiano la sua vita, e la storia della musica. Nel 1932 conosce il grande sassofonista Lester Young, ha modo di suonare con lui in diverse jam session e di studiarne lo stile fluido e lirico, un approccio che ritroviamo poi nelle improvvisazioni chitarristiche di Charlie: linee melodiche lunghe e complesse che proseguono oltre i cambi di accordo, note ribattute e frasi ripetute come ostinati. Ritmicamente, melodicamente e anche nel timbro, la chitarra di Christian prende ispirazione dai fiati.

Il secondo incontro è uno di quei casi in cui il destino ci si mette d’impegno per creare la storia. Nel 1939, Christian suona regolarmente nelle orchestre che si esibiscono nel suo stato. È conosciuto per la sua abilità tecnica, la velocità e la capacità di creare frasi musicali innovative ed è molto ricercato: pagato 2 dollari e mezzo a serata, il doppio degli altri musicisti locali…

Capita che la pianista Mary Lou Williams lo ascolta in un locale, ne resta colpita e subito avverte il mecenate e talent scout John Hammond. Lui corre per sentirlo: «Non avevo incontrato molti geni fino ad allora, Luis Armstrong, Lester Young, Coleman Hawkins, Teddy Wilson, ma in quel momento ebbi la certezza di averne incontrato un altro: Charlie suonava meravigliosamente».

Hammond raccomanda Charlie a suo cognato, Benny Goodman, il re dello swing, che in quel periodo stava registrando in California. Il clarinettista, bianco, non si fa alcun problema a prendere con sé musicisti neri, ma il primo approccio con il chitarrista “di campagna” non va per il meglio.

48 minuti di assolo per impressionare Benny Goodman

Goodman è un uomo difficile ed esigente, Hammond però non molla. Con uno stratagemma, fa salire Charlie sul palco durante un concerto del quartetto di Goodman in un locale. Si può immaginare la rabbia del clarinettista, ma non interrompe l’esibizione: “the show must go on”. Goodman attacca con un vecchio brano, Rose Room, forse sperando di cogliere l’intruso impreparato e toglierselo definitivamente dai piedi.

Christian non si lascia scappare la seconda occasione, attacca la Gibson ES 150 (lo strumento acquistato un paio di anni prima per 150 dollari) all’amplificatore, e suona come nessuno ha mai fatto prima di lui. Il brano viene tirato per 48 minuti, un assolo epocale e Charlie entra ufficialmente nel gruppo di Benny Goodman, la serie A del Jazz.

Il 2 marzo 1942, a 25 anni, la tubercolosi stronca la vita di Charlie Christian, ma nei tre anni passati da quella prima esibizione con Goodman, il musicista compie la rivoluzione del suo strumento, è protagonista del passaggio dall’epoca swing a quella del Bop, e pone le basi per le generazioni future di grandi chitarristi elettrici, jazzisti e non.

Dicono di lui gli altri chitarristi

«La prima vota che ho sentito Charlie Christian, ho pensato che non era poi un granché, perché sapevo di poter suonare più velocemente di lui. Poi, dopo qualche ascolto in più, mi ha davvero colpito, e ho capito la velocità non era tutto. Mi sono davvero commosso, ho messo via la mia chitarra e mi sono detto che non avrei mai più suonato. Il giorno dopo, però, l’ho superata e ho iniziato a provare a suonare come Charlie». Herb Hellis

«Penso che ci siano tre chitarristi che hanno lasciato un’impronta nella Chitarra: Django Reinhardt, Charlie Christian e Wes Montgomery». Joe Pass